Le origini

Un  omaggio al mio paese - Le origini

Le origini

Non è facile stabilire con precisione l’ anno in cui sia stata fondata Falconara Albanese, soprattutto per mancanza di documenti scritti. Nonostante questo, un inconfutabile punto di partenza per sviluppare la storia del paese è dato dalle emigrazioni degli albanesi in Italia (1448- 1825) avvenute in sette distinti periodi. Falconara Albanese rientra nella terza emigrazione (1468 - 1506), che possiamo definire la più numerosa: essa avvenne dopo la morte di Giorgio Kastriota Scanderbeg e può suddividersi in due ondate. Nel 1470 circa tremila profughi giunsero in Puglia, ma tra il 1480 – 82 un folto gruppo di essi vennero ad insediarsi nella pre-Sila e nella Valle del Crati. A questi si aggiunsero poi, tra la fine del XV secolo e l’ inizio del XVI altre colonie. La storia di Falconara Albanese va congiunta al ricordo di una delle più celebri Badie di Calabria, quella di Fontelaurato, in territorio di Fiumefreddo Bruzio, già monastero greco, restaurato ed offerto ai Florensi da Simone di Mamistra e Gattagrima di Fiumefreddo Bruzio, signori del luogo nel 1201. Essi avevano vasti possedimenti lungo la costa tirrenica, concessi sia dai signori locali, sia dai vescovi di Tropea. Sin dal 1267, il papa Clemente IV, in un suo Breve, tra gli altri beni confermava il “ Tenimentum quod Falcunaria vulgariter appellatur, cum pratis, vineis, terris, nemoribus, usuagis et pascuis, in bosco, in plano, in acquis, in melondinis, in viniis, et semitis, et omnibus aliis libertatibus et immunitatibus”. Decaduta dall’ antico splendore, la Badia di Calabria si ridusse a semplice beneficio commendato e riservato, con quello di Turiano, alla Santa Sede, e provveduto alla Sacra Congregazione Concistoriale. Se la memoria tramandata da padre in figlio non fallisce, essa anche nel presente dà testimonianza che Falconara fu fondata da albanesi, ivi giunti, allorchè la principessa Elena Kastriota, figlia di Giorgio Kastriota Scanderbeg, si unì in matrimonio con il principe Sollazzi di Bisignano la cui data dovrebbe riportarsi a metà del secolo XVI. D’ altra parte, quando re Alfonso vendeva, nel 1457, Fiumefreddo, che faceva parte della baronia di Rocca Angitola, al conte di Tricarico Luca Sanseverino, nella successione feudale non si accenna a Falconara e neppure quando il feudo passò a Ferdinando del Alarcon, marchese di Valle Mendoza. Dunque è da presumere che i coloni in Falconara dovettero stanziarsi non sullo scorcio del XV secolo, ma verso il primo Cinquecento e nei possedimenti della Commenda Badiale di Fontelaurato. I primi albanesi non si stabilirono nell’ odierna Falconara, perché nel territorio esistevano già insediamenti indigeni. Questo è confermato sin dal 1267 nei Registri del Romano Pontefice Clemente IV. Quindi è da pensare che i primi albanesi si stabilirono in quella parte del territorio sul litorale compreso tra i comuni di San Lucido e Fiumefreddo Bruzio, a circa 30 km a sud-ovest di Cosenza, e precisamente in quella zona denominata San Pietro sui terreni di Nicola Ringo presso la fonte e l’ aia, che conserva ancora oggi la denominazione albanese “ Kroi i lemit i kollaringut” (Fontana dall’ aia di Nicola Ringo). E fu qui che incominciarono a nascere le prime rudimentali e provvisorie abitazioni. Da una ricerca storica pubblicata nel 1896 sulla “Rivista Storica Calabrese”, si afferma che Falconara fosse sorta con la venuta di sette famiglie albanesi da Shkodra (Scutari) e Kruja (Croia). Questa tesi sembra essere priva di ogni supporto storico, come pure l’ altra indicazione che queste sette famiglie lasciassero l’ Albania per venire a fondare Falconara Albanese dopo che la Madonna del Buon Consiglio apparve loro esortandole ad abbandonare la patria, invasa dai turchi, e di mettersi in mare per cercare in Italia una terra più tranquilla. Gli albanesi giunti in Calabria trovarono invece una situazione logorata dalle lotte politiche tra Aragonesi e Angioini, dall’ avidità dei baroni feudali, dai frequenti terremoti. I baroni ed i feudatari erano diventati tanto forti da sostituirsi, di fatto, all’autorità regia. Il feudalesimo, rafforzatosi sotto gli Angioini per il fatto che Carlo I fu costretto ad infeudare molte terre demaniali per compensare i cavalieri che lo avevano sostenuto nella conquista del potere, diventa ancora più potente sotto il governo degli Aragonesi. Durante il regno di Giovanna I, l’autorità regia è costretta a subire l’assalto dei baroni, i quali occupano perfino le terre regie; i regni di Carlo III e di Ladislao, per la loro breve durata, non riescono a ricomporre l’autorità regia; Giovanna II le dà un ulteriore scossone aprendo la lotta tra Ludovico III ed Alfonso d’Aragona, il quale ultimo, per fini di potere, si appoggiò ai baroni, non tenendo conto delle autonomie cittadine, dei loro privilegi e delle loro franchigie. Poche grandi famiglie possedevano immense estensioni di terre; in Puglia, vastissimi erano i possedimenti degli Orsini; i Sanseverino, i Caracciolo, i Grimaldi, i Ruffo erano i signori incontrastati della Calabria, dove avevano numerosi possedimenti. E’ uno dei periodi della storia calabrese di forte decadimento civile ed economico a cui non erano estranee cause di ordine naturale come la pestilenza e il degradamento delle contrade, con relativo spopolamento. I baroni feudali ed ecclesiastici sfruttarono la miseria degli albanesi inserendoli nei lavori più umili e controllandoli a vista perché ritenuti “barbari e rozzi” a causa dei loro riti magici, del loro credo religioso, delle loro tradizioni, sconosciute alle popolazioni autoctone. In tale contesto storico sociale, gli immigrati albanesi che, per necessità obiettiva, avevano dovuto chiedere asilo ai baroni, laici ed ecclesiastici, si venivano a trovare in una situazione di estrema precarietà; le Universitates e i popolani, nella convinzione che essi fossero fedeli sudditi dei feudatari, li vedevano di malocchio e non perdevano occasione di invocare contro di loro severe misure. Il clero latino locale all’ inizio non li considerò scismatici, infatti le capitolazioni furono firmate dai Vescovi di Cassano e di Bisignano perché esisteva l’ unione tra la Chiesa Romana e la Chiesa Greca, stabilita nel 1439 al concilio di Firenze. Ma spesso, la cristiana pietas veniva proprio a mancare nei maggiori esponenti del clero di rito latino con in testa quelli di Cosenza, Anglona-Tursi e Rossano i quali non facevano altro che fomentare la zizzania perché gli albanesi si rifiutavano di abbandonare il rito greco-bizantino. Tale atteggiamento da parte del clero latino era dovuto, oltre che dalla volontà di convertire i “barbari” al rito latino, alla necessità di non farsi sfuggire gli emolumenti, derivanti dalle decime, che gli albanesi, di rito greco, non erano tenuti a corrispondere. E’ difficile stabilire come e quando avvenne lo spostamento dal primo insediamento, presso i possedimenti di Nicola Ringo, all’ odierna Falconara. Certo è che nel 1543 essa fu enumerata per 51 fuochi, pari a 163 abitanti. Ed ancora nel 1545 la sua popolazione fu tassata per fuochi 57. Dopo tale data, gli albanesi, convinti del ruolo indispensabile circa la vita economica del casale, a mano a mano si inserirono in pieno nella vita sociale, tanto da capovolgere a loro favore gli avvenimenti religiosi, sociali ed economici. I pochi nuclei familiari già preesistenti nel territorio assimilarono in pieno la loro cultura, e dopo qualche decennio si avranno anche i primi matrimoni misti (tra albanesi e calabresi) come si evince dal Libro Matrimoniale che comprende gli atti matrimoniali dal 1601 al 1621 conservato nell’ archivio della Parrocchia di Falconara Albanese. Non è semplice stabilire in che misura Falconara partecipò agli avvenimenti storici e politici che sconvolsero il Regno delle Due Sicilie tra il 1600 e il 1800 e quale contributo abbia dato alla caduta del regime Borbonico. Purtroppo le fonti storiche in merito ci supportano poco. Ciò che è certo, e lo si evince consultando il Libro Matrimoniale del comune, è che nel XVII secolo molti erano i chierici di rito greco-bizantino presenti nel territorio falconarese. Il 26 ottobre 1624 il chierico Francesco Antonio Manes contraeva matrimonio con Maria Fionda e i testimoni furono Francesco Fionda, Andrea Marchese e Muzio Staffa. Ciò è testimonianza che il rito greco-bizantino concede l’uxorato ai propri pastori. Il terremoto del 1638 distrusse completamente Falconara mietendo centinaia di vittime e tra essi, probabilmente, molti aspiranti al sacerdozio di rito bizantino determinando, così, nel 1670 la perdita del rito per mancanza di clero. Dallo stesso Registro parrocchiale emerge un altro dato molto singolare. Nel Sacramento del Battesimo, accanto al nome e al cognome del genitore o del padrino del battezzato, veniva aggiunto un soprannome, proceduto alcune volte dal’ “alias” (detto), che spesso identificava il mestiere svolto. La cosa che più sorprende è che con il passare degli anni, il soprannome, in molti casi, ha finito con il prendere il posto del cognome originale. Ecco alcuni esempi:- 1601 Cola Candreva detto Nesci - 1602 Cola Fiona detto Judice - 1602 Petro Fiona detto Barbuto - 1602 Giovanni Gllosci detto Barone - 1604 Lazaro Candreva detto Pirosi - 1607 Paulo Fiona detto Forgiaro - 1609 Giovanni Gliosci detto Fortino - 1612 Giovanni Bono detto Ristucci - 1616 Cola Candreva detto Girello - 1620 Pietro Fionna detto Rocco - 1621 Janni Candreva detto Belluscio. All’indomani della firma del Trattato di Aquisgrana (1748) e il conseguente passaggio dell’Italia Meridionale sotto la dinastia dei Borboni, Falconara è già una piccola realtà. Nel 1750 conta circa 1550 abitanti, viene ultimata la chiesa del Buon Consiglio e l’intero popolo falconarese vive un periodo di risveglio religioso dovuto alla devozione per la Madonna del Buon Consiglio. Ma ancora una volta un grave terremoto, quello del 1783, interruppe questa rinascita mettendo in ginocchio l’intera regione. Le poche notizie che ci sono pervenute riguardanti il contributo dato dai falconaresi alla rivoluzione antinapoleonica, sono state raccolte dal sacerdote Antonio Rotondo nella sua opera “Memoria storica sulla rivoluzione antinapoleonica dei calabresi”, dove racconta, in un breve passaggio, la strenua resistenza di una trentina di falconaresi contro un contingente di seicento francesi e la conseguente e brutale repressione dei primi. Anche il XIX secolo ebbe, immancabilmente, il suo terremoto, quello del 1854, le cui ripercussioni sull’andamento demografico sono evidenti se si prendono in esame il censimento del 1849 nel quale Falconara contava 1751 abitanti e quello del 1861 nel quale se ne contarono solo 1542. Nacquero in questo secolo i due più illustri personaggi di Falconara: Felice Staffa e Ferdinando Riggio. Tra la fine del 1800 e i primi del 1900 si colloca, invece, la rinascita culturale degli italo-albanesi. Promotore principale di questo processo fu Girolamo de Rada, di Macchia Albanese, che organizzò tre Congressi, nel 1895, nel 1897 e nel 1903 nei quali si ponevano in evidenza i diversi aspetti della realtà arberesh e la creazione di contatti culturali con la madrepatria attraverso la pubblicazione della rivista “Illi i Arbereschvet”/ La stella degli albanesi, diretta dal poeta e scrittore Antonio Argondizza di S. Giorgio Albanese. Il XX secolo, la svolta per le comunità italo-albanesi; viene chiamato il secolo delle grandi emigrazioni, e pare che i cittadini di Falconara Albanese abbiano incominciato a conoscere la via dell’ emigrazione tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo quando, tra il 1892 e il 1911, circa 600.000 calabresi lasciarono la regione per raggiungere le terre d’ oltre oceano. Ma il 900 è in particolar modo il secolo della svolta in campo religioso per gli arberesh. Il 13 febbraio 1919 con la costituzione Catholici Fideles di papa Benedetto XV, viene canonicamente costituita l’ Eparchia di Lungro. Con questo atto “viene ricomposta una unità strutturale, già sancita in seno al Concilio di Firenze (6 luglio 1436), ne sono testimonianza le favorevoli capitolazioni stipulate dai vescovi di Bisignano, Rossano e Cassano Jonio con i profughi arbersh, ma poi abbandonate dopo il Concilio di Trento (1563), che faciliterà la vita di una Comunità omogenea orientale in seno alla Chiesa Latina”. Con la costituzione dell’ Eparchia la Santa Sede non solo, dunque, risolve definitivamente un capitolo spinoso durato circa cinque secoli, ma diventa essa stessa garante ufficiale per la sopravvivenza del rito bizantino della Chiesa Italo-albanese, superando brillantemente i malcontenti dei Vescovi latini a cui erano appartenute le parrocchie italo-albanesi. Purtroppo soltanto 18 comunità arberesh furono assegnate all’ Eparchia di Lungro. Fin dall’ istituzione di questa Eparchia, Falconara, che dal 1670 fu governata da vescovi latini, è stata candidata a passare sotto la giurisdizione della nuova Chiesa locale, ciò è confermato da un documento del 1923 con il quale la Santa Sede aveva dato seguito ad una richiesta dell’ ordinario di Lungro. Il 10.03.1964 con Decreto della Santa Congregazione Concistoriale la zona compresa tra il fiume Savuto e i confini della Archidiocesi di Cosenza (zona comunemente detta “amanteana”) viene scorporata dalla Diocesi di Nicotera e Tropea e passava all’ Archidiocesi di Cosenza. Dopo meno di un decennio e precisamente il 04.10.1973, l’ Arcivescovo di Cosenza Mons. Enea Selis sanciva il passaggio di Falconara all’ Eparchia di Lungro, nominando padre Antonio Bellusci Vicario Economo della chiesa Parrocchiale dal titolo di San Michele Arcangelo. Come ha osservato il papas Antonio Bellusci nel suo discorso inaugurale, “non si tratta di passaggio ma di continuità. I nostri antenati albanesi quando vennero a fondare Falconara ed edificarono la Chiesa di San Atanasio prima, e le altre poi, erano di rito greco e vi rimasero fino alla metà del XVII secolo…, fedeltà al passato, fedeltà alla nostra storia e alla nostra genuina tradizione orientale…Non siamo perciò dei fanatici che difendiamo qualcosa del nostro passato. E’ la Chiesa cattolica stessa che ci esorta e ci obbliga ad esprimere il nostro culto a Dio, uno e trino, secondo la tradizione bizantina

Questo materiale è stato tratto dalla tesi di laurea del dott. Faustino Pugliese, giovane falconarese prematuramente scomparso.


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